IL TRIBUNALE Ha emesso la seguente ordinanza ex art. 23, legge n. 87/1953. Oggetto: causa di lavoro R.G. n. 7933/2000; ricorrente: Scardina Emanuele contro: il comune di Milano. Premesso in fatto che: nel presente giudizio di lavoro di cui all'art. 409 c.p.c. il giudice, in persona fisica di magistrato della sezione diverso dall'attuale estensore, ammesse le prove, conduceva l'intera istruzione probatoria, snodatasi in piu' udienze e concretizzatasi, tra l'altro, nell'assunzione di numerose testimonianze; al termine, con ordinanza in atti, quello stesso giudice dichiarava chiusa l'istruzione, rinviando contestualmente la causa ad altra udienza successiva per la discussione; nelle more, il Presidente della sezione di lavoro designava, quale titolare del procedimento, lo scrivente, in sostituzione del magistrato inizialmente designato, cessato dalle funzioni; all'udienza odierna le parti costituite sono comparse davanti al giudice sottoscritto per la discussione orale della causa; Il giudice osserva quanto segue. Sul piano processuale, la situazione che si e' determinata a seguito della avvenuta sostituzione (ancorche' per ragioni oggettive) del giudice ad istruttoria conclusa, e' assai singolare e di dubbia legittimita' costituzionale, essendo l'attuale magistrato chiamato alla valutazione delle prove, in base alle quali decidere la controversia, sulla base dei soli atti scritti della pregressa istruttoria da altri condotta, in un giudizio che dovrebbe essere ispirato al massimo della oralita'. Come e' ben noto, con la riforma del processo del lavoro del 1973 il legislatore ha inteso reagire al pratico svuotamento attuato dalla prassi dei principi chiovendiani, propri dell'originaria formulazione del c.p.c. del 1942 e di attuare, in modo particolarmente incisivo, con disposizioni dettate specificamente per questa particolare categoria di controversie, i principi dell'oralita', della concentrazione e immediatezza, attribuendo ad un unico giudice monocratico la direzione dell'attivita' istruttoria e la conseguente, immediata decisione della causa, tendenzialmente in unica udienza. Essenziale nel sistema cosi' creato, e' che il giudice, inteso come persona fisica, che presiede l'udienza di cui all'art. 420 c.p.c., e che assume le prove, sia lo stesso che decide la controversia, non potendo altrimenti parlarsi di oralita' del processo. Del resto, la dimostrazione, assolutamente univoca, dell'interdizione del legislatore di prescrivere, nelle controversie di lavoro, la coincidenza della persona fisica che decide rispetto alla persona fisica che istruisce la causa, sta non solo nella prevista assunzione delle prove immediatamente, ma anche nella esplicita definizione, estremamente significativa, dell'udienza di cui all'art. 420, in tutte le sue possibili componenti, quale «udienza di discussione» tout court. Nel giudizio penale, che e' la forma di processo orale per eccellenza, le conseguenze del mutamento (per qualsivoglia causa) della persona fisica del giudice trovano una espressa sanzione nella nullita' ex art. 525 del vigente c.p.p. (corrispondente a omologa disposizione del c.p.p. abrogato) e nella conseguente necessita' di rinnovare l'istruttoria dibattimentale. Anche nel processo civile, non mancano, in generale, norme di garanzia finalizzate ad evitare il cambiamento del giudice - persona fisica chiamato a decide la controversia, ed e' sicuramente ragguardevole che la giurisprudenza della Corte di cassazione abbia esteso la sanzione della nullita' rilevabile di ufficio, ex art. 161, comma 2, c.p.c. alla sentenza che venga pronunciata da giudice diverso da quello che ha partecipato all'udienza di discussione. Tuttavia e' stato escluso dalla consolidata giurisprudenza di legittimita' (alla quale questo giudice deve fare necessariamente riferimento quale «diritto vivente»), che, nel rito del lavoro, possa rilevare la differenza tra la persona fisica che istruisce la causa e chi la decide (c.f.r. da ultimo Cass., sentenze nn. 9052/2000 e 5443/2001; in precedenza, negli stessi termini, sentenze nn. 5449/1992 e 1241/1995). La giurisprudenza citata nell'enunciare tale principio solitamente fa salva l'applicabilita' dell'art. 421 c.p.c., operando un riferimento, se pure apprezzabile, ad avviso del giudicante inconferente e inidoneo a modificare i termini della questione, che attiene alla validita' formale delle prove assunte, pregiudiziale rispetto alla valutazione (necessariamente successiva e limitata alle prove ritualmente assunte e non colpite da nullita) del loro valore contenutistico e dell'eventuale necessita' di integrare ex ufficio le gia' avvenute acquisizioni probatorie. Occorre pertanto pervenire alla conclusione, del tutto inappagante che, nel rito del lavoro, la regola della insostituibilita' del giudice che procede all'istruzione della causa rispetto a quello che la decide, pur presupposta dal legislatore nell'art. 420, e fondamentale per la «oralita» del giudizio, non ha alcuna garanzia sul piano del processo, con specifico riguardo alla validita' ed efficacia delle prove, neppure nel caso limite in cui l'intera istruzione (come nella fattispecie) sia stata condotta da altro giudice e ai fini della decisione rilevino e siano determinanti le prove «costituende», gia' assunte nella fase pregressa, in se' sufficienti, ove non invalide, per giungere alla decisione. Ritiene questo giudice che i profili di incostituzionalita' prospettabili attengano, in primo luogo, alla ingiustificata e irragionevole disparita' di trattamento ex art. 3 Cost., quanto alle conseguenze, sul piano processuale, della sostituzione del giudice nel processo del lavoro, rispetto a quanto avviene nel giudizio penale, parimenti retto dal principio dell'oralita'; di violazione del diritto di difesa, ex art. 24, comma 2, Cost., non potendo tale diritto, in un processo retto dal principio dell'oralita', essere pienamente ed efficacemente esercitato dalla parte se non davanti al giudice che ha assunto le prove dalla cui valutazione dipende la decisione, e infine dell'art. 111, commi 1 e 2, Cost., perche' quando il legislatore ordinario, nella sua discrezionalita', opta per un processo retto dal principio dell'oralita', appare imprescindibile, affinche' il «giusto processo» sia veramente tale, che il giudice deputato alla decisione sia anche quello che ha personalmente proceduto all'istruzione, altrimenti non potendosi parlare di «processo» che si svolge «davanti» al giudice, cioe' con la piena e consapevole partecipazione del giudice investito del giudizio. E' evidente la rilevanza della questione sollevata, in quanto - come gia' si e' sopra sottolineato - la decisione della presente controversia dipende essenzialmente dalle prove orali, tutte assunte dal giudice precedentemente designato.